martedì 7 febbraio 2012

Sardegna/Italia legame sottile


Intervento di Paolo Maninchedda (P.S.d'Az.) 07-02-2012, sulla vertenza con lo Stato. 
. Grazie, Presidente. Onorevoli colleghi, il Partito Sardo d’Azione non mancherà di aiutare qualsiasi scelta questo Consiglio voglia fare per contrapporsi, in maniera efficace, alle politiche dello Stato che ci penalizzano. Lo dico in premessa, perché sentire gli appelli su una linea per noi tradizionale, e anche in questa legislatura inascoltata, ci costringe a ribadire che siamo lì.

Peraltro, però, il P.S.d’Az. non condivide, signor Presidente della Giunta, la sua lettura degli eventi recenti né della realtà sarda, glielo dico con garbo, ma, guardi, con una calma fermezza. Noi crediamo … che questa differenza di valutazione tra noi e lei nasca soprattutto da una sorta di esplicita mancanza di vigore da parte sua, rispetto al comportamento dello Stato, ma anche rispetto alla gravità della crisi sarda. Cioè, lei rappresenta, a mio avviso inconsapevolmente, ma plasticamente, una debolezza che a noi non appartiene. Forse dipende, questa differenza, da un diverso modo di intendere i ruoli di Governo: chi governa guida i processi, non può limitarsi a descriverli e a riepilogarli. Lei dice, e lo dice anche con soddisfazione: “E’ un successo del Governo regionale e della Sardegna tutta aver ottenuto un tavolo con lo Stato, e lo considero un fatto importante”, non le viene naturale dire che uno Stato normale quel tavolo lo dovrebbe avere sempre aperto, non può essere un fatto eccezionale, non si può accettare di essere ridotti a pietire un rapporto normale. Noi piuttosto che pietire una cosa, quasiasi cosa, ci ribelliamo. E’ uno Stato normale uno Stato che ogni volta che cambia il Presidente del Consiglio riapre un tavolo? E’ uno Stato normale? E’ normale che la vertenza Sardegna debba essere riepilogata a questi signori? Non è normale! Ecco, noi pensiamo che lei non abbia profondamente metabolizzato con quale Stato lei ha a che fare.
Io glielo voglio ricordare e lo voglio ricordare ai colleghi. Se si va a prendere un treno si rischia di non poter fare il biglietto in quest’Italia; se si va a prelevare in banca non si può prelevare più di 1000 euro perché lo Stato teme che si svuotino i conti correnti; se si deve riscuotere una pensione si è costretti ad aprire un conto corrente; questo è lo Stato con cui abbiamo a che fare, forse noi lo dimentichiamo. La Regione non può erogare i soldi ai comuni perché lo Stato mette un tetto ai pagamenti secondo il patto di stabilità e quest’anno è stato diminuito e i comuni non possono pagare le imprese. Le imprese sarde, per le leggi vigenti in questo Stato, non vincono una gara d’appalto manco a pagarla però fanno da fornitrici, cioè da finanziatrici delle aziende che vincono le gare di appalto in Sardegna e puntualmente non vengono pagate. Lo Stato vuole sapere dove compro i libri, dove mangio, come mi vesto, ascolta le mie conversazioni, vara leggi per cui è difficilissimo farsi pagare tra privati però se io maturo un debito con lo Stato conosciamo qual è il meccanismo repressivo che viene messo in atto. Lo Stato garantisce dalle nostre bollette i certificati verdi alla Saras, che smaltisce qui i residui di lavorazione di mezzo mondo, ma non riconosce alcun vantaggio ai sardi. Questo è lo Stato con cui abbiamo a che fare! Ma di più, ed è questo che a me, Presidente, disturba molto della sua impostazione, secondo me lei non vede il problema centrale. Noi viviamo in uno Stato, lo Stato italiano, che tassa il lavoro del 60 per cento e la rendita del 15. Questo sta ammazzando la Sardegna, non altro! Questa è la questione nazionale della Sardegna perché se è vero che la Sardegna è in subbuglio per molte responsabilità nostre, sulla questione centrale, la produzione della ricchezza, noi stiamo morendo di tasse ed è la terza volta nella storia che moriamo di tasse. Questo sta accadendo! Non è possibile ignorare questo fatto quando il manifatturiero va via dall’Europa perché, come molti avevano detto, la globalizzazione della tecnologia, che non è globalizzazione dei diritti, penalizza gli Stati che spendono sui diritti - lo sappiamo! -, ma le regioni svantaggiate come la nostra, che hanno il lavoro tassato come il resto d’Italia con differenti livelli di sviluppo, è in questa questione che scontano la loro povertà. Le imprese di Equitalia sono state uccise dal fisco, non hanno pagato le tasse. Questo è accaduto. Di fronte a questa questione non si può avere soddisfazione per l’apertura di un tavolo! Non si può, perché, torniamo a dire, chi governa guida e individua gli aspetti strategici, che sono questi. Se il lavoro è tassato più di ogni altra cosa, in una regione dove non c’è ricchezza accumulata come si fa a far nascere impresa? Come si fa a far nascere impresa in uno Stato quasi poliziesco che manda la finanza negli uffici regionali ancor prima che i soldi vengano erogati? Come si fa? Come si fa a fare sviluppo quando noi Regione spendiamo mezzo milione all’anno, Presidente - io vorrei discuterne con lei di queste voci -, mezzo milione all’anno per rinforzare la centrale di ascolto del Corpo forestale della Regione, cioè secondo me sono di platino questi strumenti: mezzo milione, più 1 milione per altri macchinari! Uno Stato molto interessato all’idea del sospetto, poco interessato all’idea della fiducia, preleva moltissimo. Dobbiamo avere un Presidente della Regione che pone una questione nazionale con l’Italia perché la verità è che noi siamo in contrasto con l’interesse italiano. L’Italia non si può permettere un’isola al 30-32 per cento di pressione fiscale ma è quella che serve a noi! Poi abbiamo tantissime colpe, tantissime, ma quella fiscale è centrale e non servono più solo la cortesia, il garbo e l’educazione, che sono sempre ottime monete, ma serve un vigore, una forza, una capacità di interpretazione della storia e della società sarda che non si vedono. E nel merito, Presidente: non è possibile che la Regione Sardegna si confronti con lo Stato, le dico solo questo sulla vertenza entrate, con Volpe. Lei non deve mandare, a mio avviso, nessun esponente della Giunta regionale a trattare con Volpe, ma non deve mandare soltanto il dottor Cambus perché queste partite le altre regioni le hanno trattate con fior di tributaristi che hanno inibito lo Stato, e non deve accettare minimamente ciò che il Ministero delle finanze sta pensando di fare, e cioè quello di rateizzare il debito del miliardo e mezzo. Guai, non lo dobbiamo accettare! E non deve accettare che le norme di attuazione tornino in quest’Aula perché se tornano le norme di attuazione noi occupiamo l’Aula perché è un diversivo burocratico. Non lo accetti! Cominciamo a impostare in termini dialettici il confronto con lo Stato e forse ritroviamo il vigore che le manca. .

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