IL RIFIUTO DEL TERMOVALORIZZATORE:
di che cosa parliamo quando si
discute sulla raccolta differenziata?? Un saggio schiarisce la mente per
evitare le crociate ideologiche.
Tratto dal “Corriere della Sera “ 16
settembre 2012
Un
giorno capita che vado a Vienna e rimango incuriosito dal termovalorizzatore, è
quasi al centro della città. Ma anche a Bruxelles noto che il circolo
canottieri (non perché pratichi il canottaggio, ero lì per caso) è situato
proprio sulla riva che fronteggia, appunto, il termovalorizzatore. Stessa cosa
a Parigi, termovalorizzatore a quattro fermate dagli Champs Elysées. Metti poi
il fatto che a Brescia 35 mila misurazioni in continuo di sensori monitorizzano
tutto il processo industriale di termovalorizzazione — in una comune raffineria
di petrolio le misurazioni non raggiungono i 10 mila parametri. Insomma, un
giorno, siccome a Napoli c’era la crisi dei rifiuti in massima ascesa — alte
pile che venivano due volte a settimana bruciate in maniera amatoriale —
durante il dibattito, forte delle cose viste, pronuncio la parola
«inceneritore». E assisto alla trasformazione in diretta del pubblico: ora non
sono più di sinistra, né Pd né Rifondazione, perché tutti mi guardano come se
fossi uno di destra che flirta cinicamente con la diossina. Mi ributto, per
difendermi, sulla differenziata e scopro, seduta stante, che pure questa
procedura è out, la soluzione è rifiuti zero.
Mi sa che più dei rifiuti a inquinare sono le nostre
opinioni, perché spesso sono espresse senza cognizione di causa. Per questo
sono utili i libri scritti dai tecnici, spiegano come funzionano le cose: in
fondo, le patologie di un sistema nascono dalla nostra ignoranza per la
fisiologia del sistema stesso. E allora, Rifiuti, di Gabriella
Corona e Daniele Fortini (edizione XL). Daniele Fortini è un tecnico, con un
vasto curriculum. Intervistato da Gabriella Corona (che gli fa le pulci) cerca
di farci capire di che parliamo quando parliamo di rifiuti. Ne viene fuori un
libro illuminante, completo e chiaro. Complete e chiare e soprattutto laiche
sono le dinamiche di ragionamento di Fortini, che possono essere così sintetizzate.
Le soluzioni uniche sono pericolose, non esistono solo inceneritori o
discariche o rifiuti zero. Più strumentimaneggiamo e con più efficienza (e con
meno costi) affrontiamo i problemi. Quindi, meglio un progetto su misura che
uno imposto dall’alto.
Le
comparazioni, poi, sono indispensabili per valutare l’utilità di un tecnologia.
Rispetto a cosa una tecnologia può dirsi o non dirsi sostenibile? Per esempio,
a proposito di incenerimento e scorie. Qual è oggi la maggior fonte di
inquinamento ambientale, quella che causa danni seri e accertati? Il traffico
automobilistico. Sì, questo lo sapevo. Ma non ero a conoscenza che la seconda
causa di inquinamento atmosferico in Italia sono le piccole caldaie individuali
(dati Eurostat 2008) e che a Firenze 150 mila caldaie domestiche inquinano più
di 100 termovalorizzatori di media portata. Non sapevo nemmeno che nel
Capodanno del 2005 (dati Cewp, Confederation of European Wasp to Energy Plant)
i fuochi d’artificio esplosi nella sola città di Napoli hanno rilasciato una
quantità di diossina pari a quella prodotta in un anno da 120 impianti di
termovalorizzatori — non so se la prossima mossa di Grillo sarà quella di
avviare una campagna contro i fuochi pirotecnici, il trasporto privato e le
caldaie, ma dubito che avrebbe successo.
E
la raccolta differenziata? Si deve fare? Sì! Conviene sempre? Dipende, perché
costa. Quanto costa? Mediamente in Italia 64 euro/ton, a Napoli 90 euro/ton,
poco più che a Roma o a Milano. La raccolta porta a porta costa quasi l’80 per
cento in più che nelle medie cittadine del Nord Italia. Quindi se a Napoli si
volessero servire 1 milione di cittadini porta a porta (60 per cento raccolta
differenziata su scala cittadina), si dovrebbero impiegare un numero di addetti
al servizio più elevato di quello necessario alla raccolta stradale. Dai 1.900
addetti alla raccolta stradale si dovrebbe passare a 3 mila, con un costo
diretto del lavoro di circa 110 milioni di euro. Tenendo conto che questo tipo
di costo incide per il 60 per cento sui bilanci delle imprese, in tutto
servirebbero non meno di 180 milioni di euro. È una cifra fuori scala? No, ma è
un costo impegnativo da sostenere, una famiglia operaia di 4 persone dovrebbe
spendere mille euro all’anno di spazzatura. Tuttavia, sottolinea Fortini, a prescindere
dal ritardo delle regioni meridionali, la nostra capacità di praticare la
raccolta differenziata è in linea con le percentuali già ottenute nei Paesi
europei. Quello che manca è invece la dotazione impiantistica necessaria a
minimizzare sia i costi sia l’uso delle discariche. Il fatto è che dovremmo
raggiungere il 50 per cento di rifiuti riciclati e consegnare in discarica il 5
per cento.
Dunque?
Dunque, è necessario integrare gli strumenti, non lottare per escludere uno a
danno di un altro — è purtroppo un problema italiano, costruire antagonismi (o
questo o quell’altro) in base a credenze e non prendersi la pena di verificare
con comparazioni e analisi i dati a disposizione. I termovalorizzatori non sono
antagonisti del riciclaggio. Dovunque, nelmondo, chi ricicla ha una larga
disponibilità di impianti di trattamento termico. E laddove ci sono buoni
livelli di riciclo e disponibilità di termovalorizzatori, sono le discariche ad
alleggerirsi. Purtroppo abbiamo questa tendenza: se c’è un problema — i rifiuti
lo sono — lo neghiamo e proponiamo una soluzione magica: rifiuti zero. Appunto:
zero? Zero è difficile, di sicuro meno, ma per farlo bisogna riconvertire tutto
il sistema industriale, cioè, ancora, nuove tecnologie e investimento e
impianti e cultura industriale, perché, in ultima analisi, il vero biologico
(in senso lato) è tecnologico.
Antonio Pascale
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