martedì 18 settembre 2012

Il vero biologico (in senso lato) è tecnologico.


IL RIFIUTO DEL TERMOVALORIZZATORE:
di che cosa parliamo quando si discute sulla raccolta differenziata?? Un saggio schiarisce la mente per evitare le crociate ideologiche.
Tratto dal “Corriere della Sera “ 16 settembre 2012






Non ricordo più da quanto tempo pratico la raccolta differenziata. Da prima che diventasse una procedura standard. Niente superiorità morale. Tutt’altro. Solo un’ossessione infantile verso i materiali. Comunque, fatto sta che pratico questa benedetta raccolta differenziata, e dunque, per il comune immaginario politico italiano, sono considerato di sinistra. Poi però siccome non sapevo niente della raccolta differenziata porta a porta, mi sono reso conto che c’era una sfumatura non da poco: la raccolta differenziata è sì di area Pd, ma quella porta a porta è appoggiata dalle parti di Rifondazione. Va bene, accettata la sfumatura.
Un giorno capita che vado a Vienna e rimango incuriosito dal termovalorizzatore, è quasi al centro della città. Ma anche a Bruxelles noto che il circolo canottieri (non perché pratichi il canottaggio, ero lì per caso) è situato proprio sulla riva che fronteggia, appunto, il termovalorizzatore. Stessa cosa a Parigi, termovalorizzatore a quattro fermate dagli Champs Elysées. Metti poi il fatto che a Brescia 35 mila misurazioni in continuo di sensori monitorizzano tutto il processo industriale di termovalorizzazione — in una comune raffineria di petrolio le misurazioni non raggiungono i 10 mila parametri. Insomma, un giorno, siccome a Napoli c’era la crisi dei rifiuti in massima ascesa — alte pile che venivano due volte a settimana bruciate in maniera amatoriale — durante il dibattito, forte delle cose viste, pronuncio la parola «inceneritore». E assisto alla trasformazione in diretta del pubblico: ora non sono più di sinistra, né Pd né Rifondazione, perché tutti mi guardano come se fossi uno di destra che flirta cinicamente con la diossina. Mi ributto, per difendermi, sulla differenziata e scopro, seduta stante, che pure questa procedura è out, la soluzione è rifiuti zero.
Mi sa che più dei rifiuti a inquinare sono le nostre opinioni, perché spesso sono espresse senza cognizione di causa. Per questo sono utili i libri scritti dai tecnici, spiegano come funzionano le cose: in fondo, le patologie di un sistema nascono dalla nostra ignoranza per la fisiologia del sistema stesso. E allora, Rifiuti, di Gabriella Corona e Daniele Fortini (edizione XL). Daniele Fortini è un tecnico, con un vasto curriculum. Intervistato da Gabriella Corona (che gli fa le pulci) cerca di farci capire di che parliamo quando parliamo di rifiuti. Ne viene fuori un libro illuminante, completo e chiaro. Complete e chiare e soprattutto laiche sono le dinamiche di ragionamento di Fortini, che possono essere così sintetizzate. Le soluzioni uniche sono pericolose, non esistono solo inceneritori o discariche o rifiuti zero. Più strumentimaneggiamo e con più efficienza (e con meno costi) affrontiamo i problemi. Quindi, meglio un progetto su misura che uno imposto dall’alto.
Le comparazioni, poi, sono indispensabili per valutare l’utilità di un tecnologia. Rispetto a cosa una tecnologia può dirsi o non dirsi sostenibile? Per esempio, a proposito di incenerimento e scorie. Qual è oggi la maggior fonte di inquinamento ambientale, quella che causa danni seri e accertati? Il traffico automobilistico. Sì, questo lo sapevo. Ma non ero a conoscenza che la seconda causa di inquinamento atmosferico in Italia sono le piccole caldaie individuali (dati Eurostat 2008) e che a Firenze 150 mila caldaie domestiche inquinano più di 100 termovalorizzatori di media portata. Non sapevo nemmeno che nel Capodanno del 2005 (dati Cewp, Confederation of European Wasp to Energy Plant) i fuochi d’artificio esplosi nella sola città di Napoli hanno rilasciato una quantità di diossina pari a quella prodotta in un anno da 120 impianti di termovalorizzatori — non so se la prossima mossa di Grillo sarà quella di avviare una campagna contro i fuochi pirotecnici, il trasporto privato e le caldaie, ma dubito che avrebbe successo.
E la raccolta differenziata? Si deve fare? Sì! Conviene sempre? Dipende, perché costa. Quanto costa? Mediamente in Italia 64 euro/ton, a Napoli 90 euro/ton, poco più che a Roma o a Milano. La raccolta porta a porta costa quasi l’80 per cento in più che nelle medie cittadine del Nord Italia. Quindi se a Napoli si volessero servire 1 milione di cittadini porta a porta (60 per cento raccolta differenziata su scala cittadina), si dovrebbero impiegare un numero di addetti al servizio più elevato di quello necessario alla raccolta stradale. Dai 1.900 addetti alla raccolta stradale si dovrebbe passare a 3 mila, con un costo diretto del lavoro di circa 110 milioni di euro. Tenendo conto che questo tipo di costo incide per il 60 per cento sui bilanci delle imprese, in tutto servirebbero non meno di 180 milioni di euro. È una cifra fuori scala? No, ma è un costo impegnativo da sostenere, una famiglia operaia di 4 persone dovrebbe spendere mille euro all’anno di spazzatura. Tuttavia, sottolinea Fortini, a prescindere dal ritardo delle regioni meridionali, la nostra capacità di praticare la raccolta differenziata è in linea con le percentuali già ottenute nei Paesi europei. Quello che manca è invece la dotazione impiantistica necessaria a minimizzare sia i costi sia l’uso delle discariche. Il fatto è che dovremmo raggiungere il 50 per cento di rifiuti riciclati e consegnare in discarica il 5 per cento.
Dunque? Dunque, è necessario integrare gli strumenti, non lottare per escludere uno a danno di un altro — è purtroppo un problema italiano, costruire antagonismi (o questo o quell’altro) in base a credenze e non prendersi la pena di verificare con comparazioni e analisi i dati a disposizione. I termovalorizzatori non sono antagonisti del riciclaggio. Dovunque, nelmondo, chi ricicla ha una larga disponibilità di impianti di trattamento termico. E laddove ci sono buoni livelli di riciclo e disponibilità di termovalorizzatori, sono le discariche ad alleggerirsi. Purtroppo abbiamo questa tendenza: se c’è un problema — i rifiuti lo sono — lo neghiamo e proponiamo una soluzione magica: rifiuti zero. Appunto: zero? Zero è difficile, di sicuro meno, ma per farlo bisogna riconvertire tutto il sistema industriale, cioè, ancora, nuove tecnologie e investimento e impianti e cultura industriale, perché, in ultima analisi, il vero biologico (in senso lato) è tecnologico.
Antonio Pascale 

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