IL RIFIUTO DEL
TERMOVALORIZZATORE:
di
che cosa parliamo quando si discute sulla raccolta differenziata?? Un saggio
schiarisce la mente per evitare le crociate ideologiche.
Tratto
dal “Corriere della Sera “
"Giusto per una informazione a 360°"
Non ricordo più da quanto tempo pratico
la raccolta differenziata. Da prima che diventasse una procedura standard.
Niente superiorità morale. Tutt’altro. Solo un’ossessione infantile verso i
materiali. Comunque, fatto sta che pratico questa benedetta raccolta
differenziata, e dunque, per il comune immaginario politico italiano, sono
considerato di sinistra.
Poi però siccome non sapevo niente della raccolta
differenziata porta a porta, mi sono reso conto che c’era una sfumatura non da
poco: la raccolta differenziata è sì di area Pd, ma quella porta a porta è
appoggiata dalle parti di Rifondazione. Va bene, accettata la sfumatura.
Un giorno capita che vado a Vienna e
rimango incuriosito dal termovalorizzatore, è quasi al centro della città. Ma
anche a Bruxelles noto che il circolo canottieri (non perché pratichi il
canottaggio, ero lì per caso) è situato proprio sulla riva che fronteggia,
appunto, il termovalorizzatore. Stessa cosa a Parigi, termovalorizzatore a
quattro fermate dagli Champs Elysées. Metti poi il fatto che a Brescia 35 mila misurazioni
in continuo di sensori monitorizzano tutto il processo industriale di
termovalorizzazione — in una comune raffineria di petrolio le misurazioni non
raggiungono i 10 mila parametri. Insomma, un giorno, siccome a Napoli c’era la
crisi dei rifiuti in massima ascesa — alte pile che venivano due volte a
settimana bruciate in maniera amatoriale — durante il dibattito, forte delle
cose viste, pronuncio la parola «inceneritore». E assisto alla trasformazione
in diretta del pubblico: ora non sono più di sinistra, né Pd né Rifondazione,
perché tutti mi guardano come se fossi uno di destra che flirta cinicamente con
la diossina. Mi ributto, per difendermi, sulla differenziata e scopro, seduta
stante, che pure questa procedura è out, la soluzione è rifiuti zero.
Mi sa che più dei
rifiuti a inquinare sono le nostre opinioni, perché spesso sono espresse senza
cognizione di causa. Per questo sono utili i libri scritti dai tecnici,
spiegano come funzionano le cose: in fondo, le patologie di un sistema nascono
dalla nostra ignoranza per la fisiologia del sistema stesso. E allora, Rifiuti,
di Gabriella Corona e Daniele Fortini (edizione XL). Daniele Fortini è un
tecnico, con un vasto curriculum. Intervistato da Gabriella Corona (che gli fa
le pulci) cerca di farci capire di che parliamo quando parliamo di rifiuti. Ne
viene fuori un libro illuminante, completo e chiaro. Complete e chiare e
soprattutto laiche sono le dinamiche di ragionamento di Fortini, che possono
essere così sintetizzate. Le soluzioni uniche sono pericolose, non esistono
solo inceneritori o discariche o rifiuti zero. Più strumentimaneggiamo e con
più efficienza (e con meno costi) affrontiamo i problemi. Quindi, meglio un
progetto su misura che uno imposto dall’alto.
Le comparazioni, poi, sono indispensabili
per valutare l’utilità di un tecnologia. Rispetto a cosa una tecnologia può
dirsi o non dirsi sostenibile? Per esempio, a proposito di incenerimento e
scorie. Qual è oggi la maggior fonte di inquinamento ambientale, quella che
causa danni seri e accertati? Il traffico automobilistico. Sì, questo lo
sapevo. Ma non ero a conoscenza che la seconda causa di inquinamento
atmosferico in Italia sono le piccole caldaie individuali (dati Eurostat 2008)
e che a Firenze 150 mila caldaie domestiche inquinano più di 100
termovalorizzatori di media portata. Non sapevo nemmeno che nel Capodanno del
2005 (dati Cewp, Confederation of European Wasp to Energy Plant) i fuochi
d’artificio esplosi nella sola città di Napoli hanno rilasciato una quantità di
diossina pari a quella prodotta in un anno da 120 impianti di
termovalorizzatori — non so se la prossima mossa di Grillo sarà quella di
avviare una campagna contro i fuochi pirotecnici, il trasporto privato e le
caldaie, ma dubito che avrebbe successo.
E la raccolta differenziata? Si deve
fare? Sì! Conviene sempre? Dipende, perché costa. Quanto costa? Mediamente in
Italia 64 euro/ton, a Napoli 90 euro/ton, poco più che a Roma o a Milano. La
raccolta porta a porta costa quasi l’80 per cento in più che nelle medie
cittadine del Nord Italia. Quindi se a Napoli si volessero servire 1 milione di
cittadini porta a porta (60 per cento raccolta differenziata su scala
cittadina), si dovrebbero impiegare un numero di addetti al servizio più
elevato di quello necessario alla raccolta stradale. Dai 1.900 addetti alla
raccolta stradale si dovrebbe passare a 3 mila, con un costo diretto del lavoro
di circa 110 milioni di euro. Tenendo conto che questo tipo di costo incide per
il 60 per cento sui bilanci delle imprese, in tutto servirebbero non meno di
180 milioni di euro. È una cifra fuori scala? No, ma è un costo impegnativo da
sostenere, una famiglia operaia di 4 persone dovrebbe spendere mille euro
all’anno di spazzatura. Tuttavia, sottolinea Fortini, a prescindere dal ritardo
delle regioni meridionali, la nostra capacità di praticare la raccolta
differenziata è in linea con le percentuali già ottenute nei Paesi europei.
Quello che manca è invece la dotazione impiantistica necessaria a minimizzare
sia i costi sia l’uso delle discariche. Il fatto è che dovremmo raggiungere il
50 per cento di rifiuti riciclati e consegnare in discarica il 5 per cento.
Dunque? Dunque, è necessario integrare
gli strumenti, non lottare per escludere uno a danno di un altro — è purtroppo
un problema italiano, costruire antagonismi (o questo o quell’altro) in base a
credenze e non prendersi la pena di verificare con comparazioni e analisi i
dati a disposizione. I termovalorizzatori non sono antagonisti del riciclaggio.
Dovunque, nel mondo, chi ricicla ha una larga disponibilità di impianti di
trattamento termico. E laddove ci sono buoni livelli di riciclo e disponibilità
di termovalorizzatori, sono le discariche ad alleggerirsi. Purtroppo abbiamo
questa tendenza: se c’è un problema — i rifiuti lo sono — lo neghiamo e
proponiamo una soluzione magica: rifiuti zero. Appunto: zero? Zero è difficile,
di sicuro meno, ma per farlo bisogna riconvertire tutto il sistema industriale,
cioè, ancora, nuove tecnologie e investimento e impianti e cultura industriale,
perché, in ultima analisi, il vero biologico (in senso lato) è tecnologico.
Antonio Pascale
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