Festival
dell'ipocrisa sui rifiuti tutta all’italiana.
La comunicazione è una scatola
vuota che va riempita di contenuti. Scatola che – imprudentemente va detto –
spesso viene lasciata vuota proprio da chi questi contenuti li possiede,
consentendo così che a riempirla siano soggetti (vedi comitati che spuntano
come i funghi) non sempre
qualificati o attendibili, quando proprio non in malafede.
Termovalorizzatore di Tossilo a Macomer... e le nubi sul suo futuro. |
Termovalorizzatore del Casic Cagliari....e i fenicotteri rosa! |
L’ultima novità arriva dal nord Europa. Nel 2016 a Copenaghen
sarà inaugurato il termovalorizzatore progettato da Bjarke Ingels, architetto giovane, famoso e
pluripremiato. Ma la novità è che su quel termovalorizzatore, Amager Bakke, la gente andrà a sciare. Sì, perché il
progetto prevede la realizzazione sul tetto di un impianto a 3 piste – di cui
una nera – che si estenderanno su una superficie totale di 31mila mq. E mentre
la gente si divertirà sciando, l’impianto funzionerà e produrrà energia dai
rifiuti prodotti dalla città: la capacità prevista è di 418 mila tonnellate (quello piccolo, progettato per
Tossilo è di 60mila tonnellate),
abbastanza per riscaldare circa 140mila appartamenti. Una pacchia per gli
amanti dello sci e una riprova, se ancora ce ne fosse bisogno, del gap
culturale che ci separa dal nord Europa. Potremmo aggiungerne altri, di esempi.
I numeri in Europa dimostrano
ben altro di quanto affermano i pseudo ambientalisti nostrani.
O potremmo raccontare come funziona il quartiere di Hammarby Sjöstad, a Stoccolma, che ha messo a punto un sistema di gestione
dei rifiuti così raffinato, coerente, radicale, che parte dalla raccolta
differenziata e arriva alla termovalorizzazione e al recupero dei liquami
domestici, da diventare di fatto energeticamente autonomo, affiancando a tutto
questo la produzione di energia idroelettrica e solare chiudendo completamente
il ciclo.
Potremmo più semplicemente citare il numero di termovalorizzatori in funzione
in Europa. Secondo lo studio realizzato nel 2012 da Frost & Sullivan, l’anno scorso erano 480 gli impianti in
funzione nei Paesi europei, per lo più di capacità media, con un input di 39,4
Mt di rifiuti solidi urbani. La sola
Germania smaltisce attraverso la termovalorizzazione oltre il 50% dei rifiuti
prodotti.
Italia vs Nord Europa.
Che cosa separa l’Italia dal
nord Europa, dove vediamo realizzati i sistemi più avanzati di gestione del
ciclo dei rifiuti? Il gap è tutto culturale: ci separano
tonnellate e tonnellate di cultura e informazione e tanta ipocrisia. Il contesto normativo in cui questi Paesi
si muovono, infatti, è lo stesso cui facciamo riferimento noi: è l’Europa a indicare limiti delle emissioni,
procedure, modalità di trattamento. Le tecnologie impiegate sono quelle che le nostre stesse
multiutilities utilizzano, su cui sappiamo fare ricerca ad alto livello, di cui
possediamo conoscenze e competenze. Non c’è scarto su questi fronti: stesso
orizzonte e stesse tecnologie.
Un gap di cui Davide Tabarelli, economista esperto di energia, rende
evidente l'entità economica in un articolo appena pubblicato su L'Astrolabio, newsletter dell'associazione
ambientalista Amici della Terra. "E' difficile trovare nella teoria e nella pratica un fallimento più clamoroso
dello spreco che l’Italia ogni anno fa buttando in discarica 17 milioni di
tonnellate di rifiuti urbani, un po’ più della metà di quanti ne produce. Da una parte si
aggrava il problema delle discariche, che nessuno vuole e, dall’altra, si
buttano enormi quantità di energia contenuta nei rifiuti", afferma Tabarelli nell'articolo.
"Alle stime economiche degli sprechi e dei danni, va aggiunto il costo di mantenimento delle discariche: anche qui, in maniera più rozza, è
possibile stimare per i rifiuti smaltiti in discarica un costo di circa 100
euro per tonnellata, per un onere complessivo di 1,7 miliardi di euro, che
porta il costo complessivo oltre i 4 miliardi di euro. Gli altri costi sociali e ambientali delle
discariche sono più difficili da quantificare, ma sono sotto gli occhi di
tutti". Usare l'energia che i rifiuti contengono nei termovalorizzatori,
nei cementifici o nelle centrali a carbone, potrebbe per il nostro Paese, da sempre
alle prese con il problema della sicurezza energetica, un ritorno economico non
da poco, anche in termini di capacità di stare sul mercato.
Perché in Italia si protesta.
Eppure, in Italia i termovalorizzatori, e ogni impianto che abbia a
che fare con i rifiuti, sono stabilmente in vetta alla classifica degli
impianti più contestati. I dati
delle diverse edizioni dell’Osservatorio Nimby Forum, che monitora proprio le contestazioni territoriali alla
realizzazione di impianti infrastrutturali di vario genere, registrano un trend
negativo costante: il 28% circa degli impianti oggetto di contestazioni
riguardano proprio il trattamento dei rifiuti. Il più delle volte si tratta di proteste dal carattere meramente ideologico,
fondate su pregiudizi e su informazioni confuse, contraddittorie, quando non
palesemente sbagliate, messe insieme navigando in rete, senza avere la capacità
di valutare e discernere tra fonti e attendibilità delle informazioni, senza che al progetto specifico (vedi il caso
di Tossilo), ai dati tecnici e alle valutazioni degli esperti sia dato non solo
credito, ma perfino semplicemente ascolto. Insomma, un caotico miscuglio d’informazioni tenuto insieme da una
profonda mancanza di fiducia, dalla paura e dal pregiudizio. Colmare questa distanza
è ormai una priorità.
Per una buona politica di
gestione dei rifiuti
La radicalità e l’importanza di
questo divario devono impegnare tutti noi, e devono impegnare il Paese, in
un’azione sistematica, accurata, duratura e responsabile di informazione e di
alfabetizzazione sul tema della gestione dei rifiuti. E di come proficuamente
questa possa essere integrata in una corretta politica di sostenibilità
ambientale. Non c’è, infatti, contraddizione: applicare un concetto avanzato di
difesa dell’ambiente significa coniugare sviluppo economico, qualità della
vita, innovazione. Ogni realistica politica di gestione dei
rifiuti parte dalla constatazione di un dato evidente: i rifiuti
non smetteremo mai di produrli altro che la teoria dei “rifiuti zero”. Per
questo, il modo migliore per venire a patti con questa caratteristica intrinseca
al nostro sistema produttivo ed economico è trasformare il rifiuto in risorsa:
riducendo la quantità di rifiuti, riciclando quanto è possibile, recuperando
energia. Una
politica coerente di gestione dei rifiuti comincia a monte, intervenendo con
una legislazione attenta sulla produzione dei rifiuti, e prosegue con una
raccolta differenziata capillare e informata, favorendo anche sistemi di
riutilizzo e recupero.
Culmina
poi nella termovalorizzazione (in cui giunge, a questo punto, soltanto una
parte residuale di rifiuti, quelli che non possiamo utilizzare in altro modo),
grazie alla quale dal residuo del rifiuto traiamo tutta l’energia che ancora
contiene, e si chiude con la discarica. Ma la priorità su cui devono convergere gli sforzi di tutti deve
essere questa: ridurre drasticamente la quantità di rifiuti che finiscono in
discarica. Eppure questo ciclo virtuoso, disegnato chiaramente dalla direttiva
europea Waste framework directive (2008/98/EC), non è così chiaro nelle sue
prerogative, nelle sue stringenti regole interne, non è patrimonio comune e
soprattutto, in Italia, non è condiviso come valore.
Recuperare questo gap è
possibile!
Occorre mettere a punto
un’azione di comunicazione congiunta che impegni responsabilmente tutti gli
attori coinvolti in questo settore – imprese, istituzioni, territori – per
diffondere la conoscenza sul ciclo integrato dei rifiuti e nello specifico sul funzionamento
dei termovalorizzatori che sia scientificamente accurata e trasparente,
attraverso un linguaggio accessibile e modalità di comunicazione semplice.
Occorre agire nelle scuole e con gli adulti. Immaginare campagne di
sensibilizzazione e iniziative mirate. Realizzare concorsi e stimolare la
creatività e la partecipazione. Sfruttare insomma appieno il ricco e molteplice
sistema mediatico, informativo e culturale di cui la nostra società dispone,
per raggiungere con contenuti specifici tutti i target necessari. La comunicazione è una scatola vuota che va
riempita di contenuti. Scatola che – imprudentemente va detto – spesso viene
lasciata vuota proprio da chi questi contenuti li possiede, consentendo così
che a riempirla siano soggetti non sempre qualificati o attendibili, quando
proprio non in malafede. Se vogliamo recuperare un altro spread che ci separa
dal nord Europa, la scatola va riempita. Subito, rapidamente.
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