Meglio affrontare le cose
con attivo realismo.
Ma dove porta la critica catastrofista dei vari comitati
ambientalisti, degli «obiettori di crescita» contro il consumismo sfrenato. È
vera la denuncia della scomparsa di tanti mestieri fondati sulla riparazione e
sul riuso.
Ed è comprensibile il rimpianto del tempo antico, con le sue cose
durevoli come i sentimenti. Ricordo anch'io con molta nostalgia e con un filo di romanticismo chi risuolava le
scarpe, chi riparava e rammendava ogni cosa; da noi c'era perfino chi riparava
le sedie usate... Ma quel che vale sul
piano poetico vale anche sul piano economico e sociale? Qui risale l'aspetto
utopico, l'idealizzazione di pratiche che avevano anche il loro rovescio e si
inserivano in un modello di vita che oggi non sarebbe più accettato. E poi come
si esce da questa società? Con la catastrofe con una guerra, c’è chi la vede
come una fortuna: esplode la bolla finanziaria, crolla il sistema finanziario,
finisce l'euro. Ma poi la catastrofe si abbatterà sulla vita reale dei popoli,
e saranno dolori per tutti, a partire dai più poveri e più deboli, stessa trama
di cose purtroppo già viste.
In secondo luogo la difesa dell'eco-sistema, tra green economy,
riciclaggio e limitazione dei consumi, ha efficacia se questa diventa una politica mondiale, altrimenti !
Se Paesi enormi in
crescita come la Cina o l'India si sottraggono decisamente a questi limiti, le
imprese virtuose sono destinate alla sconfitta planetaria. Qui emerge il non
detto o il detto in modo contraddittorio: per fronteggiare adeguatamente la
corsa folle dei consumi e la devastazione del pianeta, occorrerebbe un governo
mondiale unico e autoritario che nessuno vuole e che mai ci sarà. E questo
inquieta. Non so se il gioco valga la candela... Ma questo ci riporterebbe nei
paraggi della decrescita tanto auspicata dai “grillini”e dai “pseudoambientalisti”
che alla fine non gioverebbe a nessuno per uscire da una crisi che ci
attanaglia. Altrimenti non restano che risposte puramente locali a problemi che
restano però mondiali; e poi class action, appelli e proteste circoscritte che
portano solo al nulla e non risolvono i problemi ma al contrario non fanno
altro che aumentarli.
O decidiamo di essere più realisti, pur con il rimpianto poetico
del passato. O culliamo la speranza mistica che alla fine solo un dio ci potrà
salvare.
A questo punto, meglio affrontare le cose con attivo realismo,
fuori da utopie e ideologie ma anche fuori da inerzie e complici cecità che
solo ipocritamente vogliamo davvero risolvere.
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